1.Il cosiddetto”Piano per la pace tra Israele e Palestina” pomposamente annunciato dal presidente USA Donald Trump il 28 gennaio 2020,non è nient’altro che una cinica Dichiarazione di guerra contro il popolo palestinese e il suo inalienabile diritto all’autodeterminazione e una minaccia mortale per tutti i popoli oppressi della regione e nel mondo.
È un piano di annessionedella Valle del Giordano e di tutte le terre occupate dagli insediamenti dei coloni sionisti israeliani, compresa Gerusalemme/Al Quds; un piano di trasferimento della popolazione palestinese che vive nel cosiddetto “triangolo settentrionale” di Israele verso enclave disarmate, piccoli bantustan, disperse di un finto staterello ‘palestinese’, accerchiato dall’esercito sionista, sprovvisto di infrastrutture idriche e altre risorse materiali e, cosa molto importante, di forze armate, il vero tratto distintivo di uno stato, e condannata a sopravvivere sotto un regime di apartheid. Un pianodi abolizione di tutti i diritti e le aspirazioni del popolo palestinese, compreso il diritto al ritorno dei rifugiati.
Come contropartita il piano di Trump offre la promessa alle élite locali di 50 miliardi in dollari di lucrativi contratti con le compagnie USA.
Il miliardario americano alla Casa Bianca chiama il ‘suo’ piano “the Deal of the Century” (l’Accordo del secolo). La maggior parte dei commentatori lo definiscono più correttamente “the Steal of the Century”(il Furto del secolo). Anche la disgustosa scena dell’annuncio del piano da parte di un Presidente degli Stati Uniti in quel momento ancora sotto impeachment, alla presenza di un primo ministro israeliano sotto accusa per corruzione e un uditorio selezionato di tifosi entusiasti composto di religiosi sionisti di estrema destra, rappresentanti degli emiri del Golfo e fanatici evangelici era molto più simile all’incontro celebrativo di un accordo tra mafiosi che a un evento politico.
2. Nessuno potrebbe sottovalutare la gravità politica dell’annuncio del “piano”. Di fatto, gli Accordi di Oslo del 1993 insieme alla “soluzione dei due stati” sono stati sepolti senza tanti complimenti. Come ha scritto il giornale israeliano Haaretz, il giorno dopo l’annuncio, il 29 gennaio: “il Piano Trump è senza dubbio la proposta di pace più pro-Israele mai fatta, e, nonostante il Presidente affermi il contrario, la peggiore offerta mai fatta ai palestinesi. Anche se fosse gestito meglio, è sufficiente un rapido sguardo alla mappa allegata al piano Trump per chiarire quanto sia impraticabile: prende a entrambe le gole israeliani e palestinesi in una maniera tale che l’ex Jugoslavia a paragone sembra un’isola di tranquillità.”
Il piano Trump “per la pace” non può essere attuato senza mezzi e misure diguerra, attraverso l’uso della più feroce brutalità contro la popolazione palestinese, una nuova Nakba. Una tale guerra non si limiterebbe alla West Bank e alla striscia di Gaza, ma si estenderebbe fino ad una conflagrazione generale della regione.
Il “nuovo” piano di Trump è parte degli sforzi dell’imperialismo USA di costruire un’asse israeliano-saudita alla testa degli altri reazionari stati arabo-sunniti in una guerra reazionaria contro l’Iran e i suoi alleati regionali estendendosi dal Libano alla Siria e allo Yemen, per ristabilire un nuovo ordine imperialista nel Medioriente in sostituzione di quello precedente ormai in frantumi e mettendo contro sunniti e sciiti, minacciando così di dividere il Medioriente lungo linee settarie. (La 4° Conferenza Internazionale Euro-Mediterranea del “Centro Christian Rakovsky” e il web network RedMed, nel giugno 2017, avevano già denunciato questo spostamento dei piani dell’imperialismo dopo il primo viaggio all’estero del neoeletto presidente USA fatto proprio in Arabia Saudita e Israele). Da questo punto di vista, non è un caso che l’annuncio pubblico del “Piano del Secolo” USA il 28 gennaio, sia fatta all’indomani dell’assassinio, ordinato da Trump, di Qassem Suleimani generale iraniano della Forza al Quds delle Guardie della Rivoluzione, insieme ad un gruppo di altri ufficiali, nell’aeroporto internazionale di Bagdad il 3 gennaio 2020.
Le nuove provocazioni di guerra, nel corso dell’anno che porterà alla elezioni presidenziali USA, non manifesta una coerente, “irresistibile” iniziativa strategica dell’imperialismo USA. Al contrario, si tratta di un zigzagare spasmodico ma pericoloso da una retorica sul “porre fine alla guerra infinita in Medioriente e Afghanistan”, “sul ritiro delle truppe americane dalla regione” ecc. a una rinnovata aggressione militare, con l’invio di maggiori truppe, l’estensione e lo stabilimento di nuove basi militari in Arabia Saudita, nel Golfo, nel Mediterraneo Orientale, compresa la Grecia, la minaccia all’Iran di “annientamento anche dei suoi antichi siti culturali”, secondo le recenti minacce del presidente USA!
Gli interventi, i piani, e le guerre di aggressione dell’imperialismo non stanno avvenendo nel vuoto. L’imperialismo agisce nel modo più barbaro scosso dalla una crisi storica del capitalismo globale in declino, che, irrisolta da più di dieci anni, sta appena entrando in una nuova fase esplosiva che sta portando alla rivolta delle masse dall’ America Latina al Medioriente, all’Europa e oltre. L’escalation dell’aggressione dell’imperialismo USA in Medioriente si confronta e interagisce con una seconda ondata di sollevazioni rivoluzionarie, dopo la precedente “primavera Araba” rivoluzionaria del 2010-2013, sommergendo ancora una volta la MENA region, dall’Algeria e Sudan al Libano e Iraq.
Si è aperto un nuovo capitolo della storia tumultuosa di questa regione vulcanica dove guerra imperialista erivoluzione sono le protagoniste.
3. Il piano Trump ha prodotto un’esplosione di rabbia giustificata tra le masse popolari nella Palestina sotto occupazione e tutto il mondo arabo-musulmano ha manifesto in enormi mobilitazioni, raduni e dimostrazioni. Non solo nella West Bank e Gaza ma anxhe a Tel Aviv ci sono state importanti mobilitazioni contro il piano Trump che hanno unito sia ebrei israeliani che palestinesi.
È questa pressione di massa dal basso, in una regione scossa ancora una volta dall’agitazione rivoluzionaria, dal Sudan e Algeria, al Libano e Iraq, il maggiore fattore che obbliga sia la collaborazionista “Autorità palestinese” di Abbas che la Lega Araba ad opporsi formalmente al piano USA.
Ma non c’è ne spazio ne tempo per la tranquillità rispetto a questi corrotti regimi borghesi. La risposta iniziale di Arabia Saudita, Oman, Bahrein, ed Emirati Arabi Uniti è stata, come ci si aspettava, “positiva”. Ancor peggio: malgrado il voto contrario nella riunione della Lega Araba, a quanto pare alle spalle del Governo di Transizione sudanese, il capo militare Generale Abdel Fattah al-Burhan, l’uomo forte del regime che ha rimpiazzato il dominio del dittatore Omar al Bashir, dopo il suo rovesciamento da parte della rivoluzione degli oppressi sudanesi l’11 aprile 2019, ha viaggiato fino a Entebbe, in Uganda, per incontrare Netanyahu. Lo scopo di questo incontro con il primo ministro israeliano, in seguito al piano Trump, era la “normalizzazione” delle relazioni e il ristabilimento di rapporti diplomatici tra lo stato sionista e il Sudan, isolato sino ad ora da sanzioni per una moltitudine di ragioni.
La causa più profonda di questa pugnalata alle spalle del popolo palestinese, non è semplicemente la pressione economica delle sanzioni su una disastrosa situazione economica nel paese; è, prima di tutto, la paura politica della giunta militare, denominata ‘Consiglio militare di transizione’ dopo la caduta di al Bashir, di fronte alla rivoluzionesociale incompiuta.
Un articolo dal titolo “Un passo verso la liquidazione della rivoluzione” pubblicato su RedMed.org, il 14 luglio 2019, metteva puntualmente in guardi sui pericoli sul compromesso marcio tra il Consiglio militare transitorio e l’opposizione di Forze per la libertà e il cambiamento per la formazione di un Consilio sovrano che guidi “una pacifica transizione al governo civile”. Ora è chiaro, da questo incontro tra Netanyahu e Abdel Fattah al Burhan, che la giunta militare e gli interessi borghesi che rappresentano non faranno mai pace con le masse rivoluzionarie. La “normalizzazione” delle relazioni con l’imperialismo e il sionismo e sulla via della preparazione di una nuova fase dello scontro tra la controrivoluzione e la rivoluzione.
La lezione è vitale non solo per quella sudanese ma anche per tutte le rivoluzioni riemergenti ora in Medioriente. Gli imperialisti e le locali classi dominanti, tutti i re, emiri, dittatori militari, e anche i falsi “antimperialisti” sotto mentite spoglie religiose o secolari, cercano di arrestare e distruggere l’esplosione rivoluzionaria delle masse popolari esacerbando e sfruttando tutte le locali divisioni etniche, religiose, tribali ecc. per assicurarsi i propri interessi da briganti e il loro dominio reazionario traballante.
Sia la crisi dell’imperialismo che le pressioni delle misure antipopolari imposte dal capitale globale e/o da sanzioni soffocanti si rifrangono in maniera differente tra le diverse classi nelle società locali. Stanno ampliando l’enorme divario tra le classi dominanti privilegiate e corrotte e le masse impoverite che stanno prendendo la via della rivoluzione e chiedendo la deposizione del marcio sistema politico-sociale esistente.
La vittoria per le masse è un compito strategico. L’imperialismo può e deve essere sconfitto, e la liberazione nazionale conseguita senza accodarsi la nazionalismo borghese e piccolo-borghese; l’emancipazione sociale dal sistema della povertà e della miseria può e deve essere conseguita solo senza capitolare all’imperialismo e alle sue cospirazioni per il “cambiamento di regime”.
Solo una classe sociale può superare queste divisioni, e unificare le masse oppresse e impoverite contro l’imperialismo e i tiranni locali, in una lotta rivoluzionaria per la liberazione sociale e nazionale, per un’emancipazione umana universale, il socialismo: la classe lavoratrice, sia occupata che disoccupata, in particolare la sua generazione più giovane, organizzata e guidata da un’avanguardia, il partito di lotta marxista rivoluzionario, parte inseparabile della lotta per costruire una nuova Internazionalerivoluzionaria.
4. Lottando per questa prospettiva storico-politica, il Centro socialista internazionale “Christian Rakovsky” fa appello a tutti i partiti di sinistra e le organizzazioni operaie, a tutti gli autentici combattenti per la liberazione nazionale, ai movimenti sociali e contro la guerra di mobilitarsi senza indugio contro il Piano Trump di annessione, trasferimento, e apartheid che liquida i diritti del popolo palestinese, prima di tutto il suo diritto all’autodeterminazione nazionale e il diritto al ritorno dei rifugiati.
Cacciamo l’imperialismo USA e UE dal Medioriente, dal Nord Africa e dai Balcani!
Smantelliamo tutte la basi NATO-USA nella MENA region, in Grecia, Turchia, Cipro!
Abbasso il colonialismo sionista! Per il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, per il diritto al ritorno dei rifugiati! Per una Palestina unita, libera, democratica, laica e socialista, dove arabi palestinesi ed ebrei possano vivere pacificamente insieme con eguali diritti e dignità sull’intero territorio della Palestina storica!
Per la vittoria della rivoluzione sociale delle masse popolari del MENA!
Per la Federazione Socialista del Medioriente!
International Socialist Center 'Christian Rakovsky'
EEK (Workers Revolutionary Party, Greece)
DIP (Revolutionary Workers Party, Turkey)
OKP (United Communist Party, Russian Federation)
Association "Soviet Union"
United Campaign for the Release of Georges Ibrahim Abdallah (France)
Prospettiva Operaia (Italy)
MTL (Marxist Workers League, Finland)
ROR (Revolutionary Workers Renaissance, France)
Attac (Hungary)
Febbraio 2020