Le elezioni europee, svoltesi nel pieno della crisi capitalista, hanno portato sia diversi commentatori borghesi che molti compagni a lanciare un grido di allarme per l’avanzata del fascismo in Italia sorretto da un’ondata sovranista a livello continentale. Riteniamo che tali analisi manchino di un reale approfondimento sui rapporti tra il capitalismo italiano e quello europeo, sui possibili risvolti in merito ai rapporti di forza, tra le classi e all’interno delle classi, causati della non risolvibile crisi del debito pubblico italiano, sulla risposta appunto di classe, e non genericamente “di sinistra” o “progressista”, da mettere in campo contro i duri colpi di coda che un capitalismo decadente è in grado di assestare.
Iniziamo dal dato sulla partecipazione elettorale. Il fatto che nel nostro Paese si sia recata alle urne praticamente la metà degli aventi diritto (56%), e quindi una minoranza della società, sembra passare sottaciuto, come se questo dato non modificasse palesemente il quadro: tenendo conto della totalità degli aventi diritto, la Lega è ben al di sotto del 20%, meno di un quinto degli elettori (altro che “60 milioni di italiani sono con me”, celebre frase del leader leghista Salvini). E se è vero che l’astensione è un dato strutturale delle elezioni europee e soprattutto che racchiude al suo interno motivazioni non omogenee politicamente, è altrettanto vero che mostra un quadro comunque di rifiuto dell’offerta politica in campo, così come fa luce su rapporti di forza nella società ben diversi da quelli paventati dai politicanti borghesi. È un dato sempre da tenere nella giusta considerazione se si pretende di concentrare la propria azione politica sui rapporti di forza e di classe.
Nonostante ciò, Salvini è stato costretto, avendo comunque ricevuto la maggioranza relativa dei voti, a continuare la sua opera di propaganda, anzi a rinfoltirla, e infatti già promette sforamenti dei parametri europei (in primis quello del 3% sul rapporto deficit/PIL), ridiscussione degli accordi comunitari, shock fiscali, ecc. Promesse che hanno lo stesso valore di quelle che riguardavano ad esempio l’uscita dell’Italia dalla moneta unica europea (si ricorderanno i tour elettorali percorsi con le felpe “NO euro”) appena la Lega sarebbe arrivata al governo. Tanto più che già ora, a poche settimane dal voto, Salvini alterna alle sue sparate continui tentennamenti e toni dialoganti. Tutto pensa fuorché ad una rottura con Bruxelles, ma dato che per portare avanti un dialogo c’è bisogno di numeri economici e non di parole dolci, la Lega finirà presto nello stesso vicolo cieco del Movimento 5 Stelle.
Ciò a maggior ragione se si considera che non esiste alcun blocco sovranista europeo che possa supportare Salvini. I vari nazionalismi che dovrebbero comporre tale blocco agiscono unicamente su base nazionale. Il loro sciovinismo dipende dal fatto che sono dei movimenti che affondano le radici nella borghesia medio-piccola, esposta alla concorrenza e allo scambio diseguale con monopolisti patri e stranieri. I partiti sovranisti, in quanto tali, non sono politicamente indipendenti dai partiti del grande capitale finanziario, il quale si presenta oggi come transnazionale. Lo stesso grande capitale che ha sempre investito nell’unità europea per cercare di uscire dall’angustia dei mercati nazionali degli Stati europei, e per sottrarsi al dominio del capitale statunitense (da qui viene tra l’altro l’ostilità di Trump nei confronti dell’Unione Europea). La non indipendenza politica dei sovranisti dal capitale finanziario (transnazionale) li rende di fatto un’appendice della BCE, della Commissione Europea, dell’€uro, dell’UE. I sovranisti, lì dove governano, agiscono da braccio “nazionalista” dell’austerità. L’Italia è l’esempio perfetto. La pagliacciata salviniana del conflitto con l’Europa maschera una continuità di fondo con le politiche precedenti in Italia e con le attuali richieste dell’UE. Tanto più se si pensa alla prossima finanziaria che sarà un bagno di sangue.
Tra parentesi, se esistesse e funzionasse davvero un blocco sovranista europeo, non potrebbe che farlo a spese del sovranismo italiano, francese, tedesco, ecc…, e non a spese degli europeisti. Sarebbe, infatti, la manifestazione di un’unità europea giunta ad un punto tale da generare una sua destra populista (europea e non più nazionale), rappresentante di una sua classe media, e questo processo sarebbe irreversibile.
Le promesse farlocche dei sovranisti italiani, in particolare la Lega, fanno il paio con quelle del grande sconfitto di questa tornata elettorale, il Movimento 5 Stelle. L’essere passati da forza di opposizione a forza di governo, una serie di retromarce come su ILVA e TAP (a cui seguirà quella sulla TAV), l’aver partorito una misura come il “reddito di cittadinanza” che non è neanche lontanamente risolutiva nemmeno di una piccola parte dei problemi povertà e disoccupazione, tutto ciò ha dimezzato il consenso di cui il movimento grillino ha precedentemente goduto, soprattutto al centro-sud (dove risiedono le grandi masse di disoccupati). Il grosso dei 5 milioni di voti persi in un anno proviene infatti dalle classi popolari (da quelli che un tempo votavano a sinistra) e sono refluiti nell’astensionismo. Il M5S è tra l’altro un movimento costruitosi su un’indignazione passiva e non sulla rabbia delle lotte, e in questo rivela ora tutta la sua debolezza.
Per quanto concerne la sinistra, in tutta Europa crollano uno dopo l’altro i modelli radical del nuovo riformismo. In Inghilterra il Labour Party a guida Corbin non riesce ad approfittare del caos Brexit e arriva terzo dopo la destra nazionalista di Farage e i liberali. In Francia l’ex ministro (nel governo borghese del Partito Socialista con primo ministro Jospin) Mélenchon, passa dal 20% delle ultime elezioni presidenziali francesi al 6%. Nello Stato Spagnolo, per un altro punto di riferimento della sinistra europea, cioè Podemos, continua l’emorragia di consensi, consegnando tra l’altro il cosiddetto “voto di protesta” al populismo di destra. Infine in Grecia, luogo simbolo dell’illusione riformista della cosiddetta “nuova” sinistra europea, quell’Alexis Tsipras, che aveva raccolto attorno a Syriza una larga fetta di consensi provenienti contemporaneamente dallo sgretolamento del partito socialista Pasok e dal maestoso ciclo di lotte contro l’austerità europea, dopo il clamoroso tradimento della volontà popolare espressasi con un fragoroso NO al referendum sul memorandum imposto dalla Troika (FMI, UE, BCE) nel 2015, e dopo anni di massacro sociale della propria popolazione (perseguendo esattamente quegli stessi dettami pro-austerity, con tagli e privatizzazioni), ha subito il sorpasso netto di Nea Demokratia, e si prepara alla logica sconfitta nelle imminenti elezioni politiche greche. Nonostante lo sfacelo rappresentato da Tsipras e Syriza, alle elezioni europee in Italia la lista La Sinistra si è presentata in continuità e a difesa di quel modello (perdente) incassando una sonora quanto aspettata batosta nelle urne.
Queste elezioni europee hanno quindi dimostrato, ancora una volta, quanto sia necessaria ed urgente la costruzione di organizzazioni della classe operaia in tutta Europa (e in tutto il mondo), organizzazioni marxiste e rivoluzionarie che non facciano concessioni a qualsiasi (falsa) idea democratizzante di un’Europa sociale (incompatibile col sistema capitalista) e lottino al contrario per gli “Stati Uniti Socialisti d’Europa”.